Gli italiani più vecchi e soli, e al Sud allarme lavoro giovani
Fonte ANSA
Italiani più vecchi e soli. La popolazione totale diminuisce per il terzo anno consecutivo di quasi 100mila persone rispetto al precedente: al 1° gennaio 2018 si stima che la popolazione ammonti a 60,5 milioni, con 5,6 milioni di stranieri (8,4%). Così il rapporto Istat secondo cui l’Italia è il secondo paese più vecchio del mondo: 168,7 anziani ogni 100 giovani. Il Paese appare anche più fragile rispetto all’Ue: il 17,2% si sente privo o quasi di sostegno sociale. Gli anziani che vivono soli passano oltre 10 ore senza interazioni con altri.
Ascensore sociale bloccato. La dote familiare in termini di beni economici ma anche di titoli di studio e attività dei genitori è »determinante» per avere successo nello studio e nel lavoro: solo il 18,5% di chi parte dal basso si laurea e il 14,8% ha un lavoro qualificato. La cerchia di parenti e amici è anche decisiva nel trovare e non solo nel cercare un impiego: lavora grazie a a questo »canale informale» il 47,3% (50,6% al Sud) contro il 52,7% che l’ha ottenuto tramite annunci, datori di lavoro agenzie, concorsi.
«Il Mezzogiorno rimane l’unica ripartizione geografica con un saldo occupazionale negativo rispetto al 2008 (-310 mila, -4,8%)». Si legge nel Rapporto annuale dell’Istat. Quindi il Sud non ha ancora recuperato i livelli pre-crisi. E ancora, al Mezzogiorno la quota di giovani 15-29enni che non studiano e non lavorano, conosciuti con l’acronimo inglese di Neet, è più che doppia rispetto a quella dell’Italia settentrionale. I Neet seppure in calo, a 2,2 milioni nel 2017, sono ancora il 24,1%, dal 16,7% del Nord al 34,4% del Sud.
In un decennio la mappa del lavoro è cambiata e il lavoro manuale segna una decisa contrazione: tra il 2008 e il 2017 sono scesi di un milione gli occupati classificati come «operai e artigiani» mentre si contano oltre 860 mila unità in più per le «professioni esecutive nel commercio e nei servizi», in cui rientrano gli impiegati con bassa qualifica che potrebbero essere ribattezzati come i ‘nuovi collettivi bianchi’. Lo rileva l’Istat. E ancora, se nell’industria si sono perse 895mila unità nei servizi se ne sono guadagnate 810mila.
In Italia il trasporto pubblico locale appare sottoutilizzato: gli utenti abituali di autobus, filobus e tram sono l’11 dei residenti dai 14 anni in su. Nel 2016, quasi quattro italiani su cinque si sostano giornalmente utilizzando mezzi propri per un tasso di motorizzazione di 625 auto ogni 1.000 abitanti. Un dato largamente superiore a quello registrato nei maggiori Paesi europei (555 in Germania, 492 in Spagna, 479 in Francia, 469 nel Regno Unito). Nel biennio 2015-16 l’offerta del trasporto pubblico locale ha recuperato una parte della flessione registrata nel quadriennio precedente, ma è ancora inferiore del 2,2% rispetto a quella del 2011. Tra il 2011 e il 2016 si poi modificata anche la ripartizione dell’offerta. Nei capoluoghi o città metropolitane l’offerta di autobus e filobus è diminuita del 12,6%, quella del tram è aumentata del 3,7%, così come quella della metropolitana (+18,1%).
«Nel 2017 il benessere degli italiani misurato nel Def mostra un deciso miglioramento in cinque dei dodici indicatori considerati e un arretramento nei rimanenti sette». «In positivo» la riduzione della criminalità predatoria (scippi e rapine), il miglioramento della partecipazione al mercato del lavoro e la diminuzione della durata delle cause civili. Invece, risultano «in negativo» l’aumento delle disuguaglianze e della povertà assoluta, che, come rivelato già in audizione sul Def, nel 2017 secondo le stime preliminari interesserebbe l’8,3% dei residenti (circa 5 milioni) contro il 7,9% nel 2016. Inoltre, fa presente l’Istat, «gli indicatori disponibili per i primi mesi del 2018 segnalano la prosecuzione del recupero della crescita dell’economia italiana, pur se a ritmi moderati».
Nell’anno scolastico 2016-2017 nelle scuole del primo ciclo, statali e non, gli alunni con disabilità sono quasi 160 mila, il 3,5% del totale. Solo il 34% degli edifici scolastici del primo ciclo è accessibile e privo di barriere. Lo certifica Istat nel Rapporto annuale 2018. In circa la metà dei fabbricati non accessibili mancano ascensori a norma, servoscala o rampe. Meno carenti sono servizi igienici scale o porte a norma. La normativa prevede un insegnante di sostegno ogni due alunni disabili: in quasi tutte le regioni del Mezzogiorno si riscontra un rapporto vicino a un insegnante per ogni alunno con disabilità mentre nel centro e nel nord il rapporti si avvicina a quello previsto dalle norme. La situazione è capovolta per la presenza degli assistenti dell’autonomia e della comunicazione, figura finanziata dagli Enti locali: nel Mezzogiorno l’offerta è molto ridotta.
Nel 2015 la spesa per protezione sociale è stata in Italia pari al 30% del Pil. Un dato superiore a quello registrato nei Paesi dell’Unione Europea che hanno speso mediamente il 28,5% del Pil. Spiega sempre il rapporto annuale dell’Istat. Le prestazioni sociali in denaro predominano su quelle in natura, con l’Italia che presenta il valore più elevato (il 22% del Pil).
La ripresa del mercato del lavoro iniziata nel 2014 «è andata consolidandosi nel 2017» con un aumento di occupati stimati nella contabilità nazionale di 284.000 unità sul 2016 a fronte dei 324.000 in più registrati nell’anno precedente. Il monte ore lavorate nel 2017 ha raggiunto quota 10,8 miliardi di ore, ormai vicino al recupero del livello pre-crisi (11,5 miliardi nel 2017). La dinamica salariale invece è rimasta contenuta con le retribuzioni contrattuali per dipendente cresciute solo dello 0,6% in linea con il minimo storico registrato nel 2016.
Se si sommano le persone che nel 2017 erano disoccupate con le forze lavoro potenziali, ovvero coloro che sono disposti a lavorare ma non cercano attivamente impiego o non sono immediatamente disponibili, si arriva a poco più di sei milioni di individui, in calo rispetto ai 6,4 milioni del 2016. Lo sottolinea sempre l’Istat nel suo rapporto. Le persone in cerca di occupazione nel 2017 erano 2,9 milioni con un calo di 105.000 unità sul 2016 (tasso all’11,2%). Le forze lavoro potenziali nell’anno erano 3,13 milioni con un calo di 213.000 unità sul 2016.
Nel tradizionale rapporto annuale, l’Istat ha messo a confronto la struttura delle disuguaglianze urbane in tre delle principali città italiane, Milano, Roma e Napoli, evidenziando come ci sia comunque quasi sempre un netto distacco tra il centro e la periferia. Il capoluogo lombardo ha una struttura radiale, a cerchi concentrici. Le aree più benestanti coincidono con quelle con i più alti valori immobiliari e si addensano soprattutto nelle zone centrali della città mentre le zone ad alta vulnerabilità si trovano tutte in periferia. Più complessa, invece, la situazione nella Capitale, dove emergono sia gli sviluppi borghesi di ‘Roma Nord’, sia i più recenti cambiamenti socio-economici di alcuni quartieri popolari dovuti al trasferimento di segmenti della popolazione benestante. Le zone più vulnerabili sono presenti anche in alcune aree centrali, anche se la loro concentrazione massima si registra nelle zone a ridosso del Raccordo Anulare, a Nord-ovest come ad est. Napoli, infine, presenta un evidente contrasto da Ovest, dove si trovano le zone più benestanti e meno vulnerabili, a Est (e all’estremo Nord) dove accade il contrario.